Riforma Cartabia e amministratore condominiale: nuovi poteri 2025
La riforma Cartabia ha semplificato il ruolo dell’amministratore condominiale nella mediazione, conferendogli il potere di attivarla senza delibera preventiva. Restano vincoli decisionali in capo all’assemblea. Crescono le responsabilità, tra autonomia e trasparenza.
Con l’entrata in vigore del nuovo art. 5-ter del dlgs 28/2010, introdotto dalla riforma Cartabia, il legislatore ha ridefinito la figura dell’amministratore, nell’ambito del procedimento di mediazione, conferendogli maggiori poteri ma, al contempo, attribuendogli nuove responsabilità.
In particolare, con l’articolo 37 del dl 24 febbraio 2023, n. 13, il 30 giugno 2023 è entrato in vigore il nuovo articolo 5–ter del decreto legislativo 28/2010, che testualmente stabilisce: “L’amministratore del condominio è legittimato ad attivare un procedimento di mediazione, ad aderirvi e a parteciparvi.
Il verbale contenente l’accordo di conciliazione o la proposta conciliativa del mediatore sono sottoposti all’approvazione dell’assemblea condominiale, la quale delibera entro il termine fissato nell’accordo o nella proposta con le maggioranze previste dall’articolo 1136 del codice civile. In caso di mancata approvazione entro tale termine la conciliazione si intende non conclusa”.
La norma sancisce, quindi, che l’amministratore è legittimato ad attivare, aderire e partecipare al procedimento di mediazione.
I limiti e cosa prevede la riforma Cartabia
La sua attività incontra però un limite: l’approvazione dell’accordo da parte dell’assemblea condominiale. Tale approvazione deve intervenire entro il termine fissato nell’accordo o nella proposta conciliativa e con le maggioranze previste dall’art. 1136 c.c. In assenza di delibera entro tali termini, la conciliazione si considera non conclusa.
Prima della riforma Cartabia, l’art. 71–quater delle disposizioni di attuazione del codice civile prevedeva che: “al procedimento è legittimato a partecipare l’amministratore, previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all’articolo 1136, secondo comma, del codice civile (ovvero maggioranza degli intervenuti che rappresentino almeno la metà del valore dell’edificio)”; inoltre, “la proposta di mediazione deve essere approvata dall’assemblea con la maggioranza di cui all’articolo 1136, secondo comma, del codice.
Se non si raggiunge la predetta maggioranza, la proposta si deve intendere non accettata” (confermato anche da Cass. 10846/2020). In passato, dunque, l’amministratore poteva partecipare alla mediazione solo previa autorizzazione dell’assemblea. Erano necessarie almeno due delibere: una per autorizzare la partecipazione alla procedura e un’altra per approvare l’eventuale proposta conciliativa.
Questo approccio, sebbene garantista, comportava notevoli difficoltà pratiche, specialmente a causa dei tempi ristretti per la convocazione dell’assemblea, spesso incompatibili con la scadenza dei 30 giorni prevista per la fissazione del primo incontro. Ne derivava la necessità di richiedere proroghe.
Senza delibera preventiva
Con la nuova normativa, invece, l’amministratore può attivare, aderire e partecipare alla mediazione senza delibera preventiva, assumendo un ruolo centrale nell’intero procedimento. Si tratta di una legittimazione diretta ex lege che semplifica notevolmente la procedura, rendendo più agevole il ricorso agli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie.
Grazie a questa disciplina, l’amministratore può ora scegliere liberamente il legale del condominio, l’organismo di mediazione e il mediatore stesso, selezionando figure professionali adeguate alla specifica controversia.
Tuttavia, la sua autonomia si arresta nel momento in cui si raggiunge un accordo: il verbale di conciliazione o la proposta del mediatore devono essere sottoposti all’approvazione dell’assemblea, che deve deliberare nel termine indicato e con le maggioranze ex art. 1136 c.c.
In assenza di tale delibera, l’accordo non può ritenersi concluso.
Il potere decisionale resta all’assemblea condominiale
La nuova normativa conferma un principio già più volte ribadito dalla giurisprudenza: il potere decisionale ultimo rimane in capo all’assemblea, mentre all’amministratore spettano funzioni esecutive e rappresentative.
Sebbene la riforma favorisca una gestione più celere delle controversie, è opinione della scrivente che, in assenza di un obbligo formale di coinvolgimento preventivo dell’assemblea, vi sia il concreto rischio che l’amministratore conduca l’intero iter senza una reale condivisione con i condomini.
Ciò potrebbe generare incomprensioni o, peggio, una rappresentazione distorta degli interessi della collettività condominiale. Per questo motivo, pur non essendo più obbligatoria, la convocazione di un’assemblea prima dell’avvio della procedura resta fortemente consigliata.
Una delibera preventiva non solo legittima più solidamente l’azione dell’amministratore, ma consente anche di definire una linea negoziale condivisa e di conferirgli un mandato chiaro, evitando fraintendimenti o contestazioni successive. In definitiva, la ratio della nuova disciplina appare orientata al bilanciamento tra due esigenze: da un lato, la celerità ed efficacia della procedura; dall’altro, la tutela della rappresentatività dell’assemblea, organo sovrano nella vita condominiale.
L’amministratore, pertanto, dovrà muoversi con tempestività, ma anche con prudenza e trasparenza, mantenendo costantemente l’interesse della collettività al centro della sua azione.
In conclusione, se da un lato la riforma Cartabia attribuisce all’amministratore un ruolo più attivo e autonomo nella mediazione, dall’altro ne accresce le responsabilità. Egli, pur godendo di maggiori poteri, è tenuto a operare in modo diligente e condiviso, nell’esclusivo interesse del condominio che rappresenta.




