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Informazione e servizi pubblici dopo il covid-19

Ref Ricerche, azienda di consulenza per aziende, istituzioni e organismi governativi, ha messo a punto un’analisi intitolata Servizi pubblici e comunicazione ai cittadini. Spunti di riflessione (alla luce dell’emergenza sanitaria) a cura di Donato Berardi, Michele Tettamanzi, Samir Traini. Ecco il testo.


Il periodo eccezionale che stiamo vivendo sta mettendo a dura prova la società che abbiamo costruito e nella quale abbiamo imparato a vivere nell’ultimo secolo.

È proprio in occasioni come queste che si possono osservare alcuni fenomeni di deviazione, distorsione o – se si preferisce – bias nei processi decisionali e cognitivi dei cittadini, come possono esserlo il panico o un’incompleta lettura della realtà. In opposizione a questi, si vi sono (o dovrebbero esservi) gli sforzi delle istituzioni nel costruire processi comunicativi chiari che possano aiutare i cittadini a intraprendere azioni per il benessere collettivo. Cruciale allora sarà la credibilità di queste ultime presso i cittadini e la capacità che esse hanno di informare i cittadini stessi.

Se è vero che l’informazione cattiva, distorta o falsa esiste da tempi lontanissimi e, dunque, non è figlia di questa nostra post-post modernità, è altrettanto vero che la sovrabbondanza di notizie e la molteplicità di canali e strumenti in grado di farle circolare ha facilitato il venire in contatto con quelle che siamo abituati a definire come “fake news”. I cronisti oggi – gli storici domani – si sono ampiamente occupati di raccontare e stimare l’incidenza e l’impatto che queste “notizie false” hanno avuto su particolari circostanze della vita pubblica contemporanea come, per esempio, le campagne elettorali.

Ma quanto impattano questi “falsi” sulla formazione di opinioni pubbliche e personali? Un’esposizione continuata a “false notizie” o a “informazioni non corrette” può creare, dunque, incomprensione tra singoli individui e gruppi?

Pregiudizi, deformazioni e scarsa comprensione della realtà incidono sulla capacità di alcuni – tanti o pochi, dipende – di capire e interpretare non solo le situazioni o la realtà circostante, ma anche i messaggi che vengono inviati nei normali processi comunicativi.

Una distorsione del giudizio da cui non è immune il rapporto – o meglio la percezione che di esso si genera – esistente tra cittadini-utenti e istituzioni preposte a erogare un servizio pubblico. Come per esempio quello della fornitura di acqua potabile o di gestione dei rifiuti.

Burocrazia

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1. I  soggetti coinvolti: cittadini e istituzioni

Prima di addentrarci nel tema guardiamo i soggetti coinvolti. Da una parte vi sono i cittadini, i quali, diversamente da quanto spesso assunto dalla dottrina economica, non agiscono in modo freddo e razionale, processando adeguatamente tutta l’informazione disponibile. E ciò per diverse ragioni tra le quali l’impossibilità di accedervi, l’incapacità di comprenderne la portata o, ancora, per un eccesso o carenza di strumenti, per la difficoltà a distinguere fonti credibili e reputate da quelle distorte e, infine per imperizia o per dolo.

Insomma, i cittadini, essendo umani ed emotivi, sono talvolta preda di illusioni, errori e travisamenti: i loro processi decisionali sono potenzialmente espositi a bias cognitivi, distorsioni della percezione o della realtà che – come si diceva – minano alla base la razionalità del processo stesso, rendendo giustificabili scelte illogiche o irrazionali.

Vediamo ora le istituzioni. Innanzitutto, è nella responsabilità che compete alle istituzioni rendersi conto di questo atteggiamento e agire di conseguenza. Da una parte esse, possono utilizzare tali bias “a proprio favore”, generando quindi processi virtuosi che si basano sull’errore e sulla pigrizia. Questo processo prende il nome di nudging il decisore pubblico costruisce un contesto che favorisce naturalmente l’emergere di un comportamento desiderato, il quale deve essere coerente con il benessere della collettività, e quindi diretto a tutelarlo. Dall’altra invece, è affidato alle istituzioni accompagnare i cittadini durante il processo decisionale, favorendo le decisioni ottimali per ciascuno, prevenendo o arginando il più possibile le fonti dei bias. Ciò significa che le istituzioni devono favorire l’emergere di decisioni libere e corrette: libere e quindi espressione della volontà di ciascuno, corrette e quindi coerenti con lo stato del mondo e le proprie esigenze.

Le istituzioni, infatti, dovrebbero sempre agire nel pieno ed unico interesse della collettività che rappresentano. Un’affermazione purtroppo non sempre scontata: assai frequentemente, infatti, la mala informazione è animata proprio dal desiderio di affermare interessi differenti o secondi fini rispetto a quelli della tutela del benessere della collettività.

È evidente che qualora una tale percezione, giusta o sbagliata, inizia a diffondersi fra i cittadini, si creano le premesse per una rottura fra le istituzioni e i cittadini stessi. Una corretta e imparziale informazione, diviene l’ingrediente imprescindibile di ogni risposta adeguata che lo Stato è chiamato a garantire, in un contesto in cui il confine fra verità e post-verità è spesso sfumato. Il ruolo dell’informazione e di come essa viene “gestita” risulta dunque centrale.

Diventa allora cruciale che le istituzioni riescano a preservare la relazione di fiducia che necessariamente le lega ai cittadini. Una relazione che non può prescindere da un attento processo comunicativo, il quale deve coniugare veridicità, accessibilità, autorevolezza e adeguatezza.

La verità deve essere il cardine attorno al quale costruire il messaggio che si vuole comunicare. L’accessibilità garantisce che il messaggio sia ricevuto da tutti, e da tutti pienamente compreso. L’autorevolezza è il ruolo di leadership riconosciuto dai destinatari del messaggio, il connubio di competenza, indipendenza e reputazione. L’adeguatezza, infine, è necessaria per commisurare i toni e i contenuti del messaggio alle evidenze disponibili.

2. Acqua, rifiuti e distorsioni nel giudizio (sul servizio pubblico locale)

Esistono bias cognitivi che possono essere riscontrati anche nel mondo dei servizi pubblici locali, con particolare riferimento all’acqua e ai rifiuti?

Guardiamo prima all’acqua. Per quello che riguarda il servizio idrico, crediamo siano essenzialmente tre le fonti di bias che riconosciamo: contiguità, disponibilità e gratuità.

Una prima dimensione rientra nella percezione che i cittadini hanno del servizio idrico: la percezione che ne hanno i cittadini si limita alla dimensione domestica, cioè ai canali di immissione e di emissione di acqua dalla propria casa, dimenticando le fasi – fondamentali e complesse – di prelievo in natura o di depurazione. I cittadini, in altri termini, non percepiscono la dimensione verticale del servizio: si crea così un bias rispetto ai compiti del gestore, e quindi la corretta perimetrazione del servizio che sottende alla tariffa.

Un’altra fonte di bias che può emergere ha a che fare con la disponibilità della risorsa idrica. Non solo l’Italia è un Paese sviluppato, e quindi in grado di offrire alla totalità della popolazione accesso all’acqua.  Siamo quindi portati a percepire l’acqua come un bene “sempre disponibile”: è piuttosto la mancanza della stessa ad essere vissuta come un’eccezione. Ad esempio, sono numerose le storie di individui che, provenendo da aree aride e desertiche del nostro pianeta, si stupiscono dello spreco di acqua cui noi siamo abituati anche nel compimento di semplici azioni quotidiane quali il lavarsi i denti: sperimentare abbondanza o scarsità costruiscono pattern di osservazione del mondo diametralmente opposti, che risultano in processi decisionali altrettanto diversi.

Infine, è rilevante osservare come il prezzo dell’acqua erogata dall’acquedotto, sia così basso rispetto al valore che tale risorsa ha per la vita umana e per lo svolgimento delle attività quotidiane, al punto da poter definire tale risorsa come pressoché gratuita. Non riuscendo a far coincidere il valore del bene, con il suo prezzo (spesso ignorato dai cittadini!), diventa poco probabile che si ingeneri un processo decisionale nel quale gli stessi cittadini non sono in grado di valutare con precisione tutti gli elementi che concorrono ad una corretta decisione: reputando il bene quasi gratuito da un lato, e dall’altro riconoscendo in esso un valore infinito, si crea evidentemente un cortocircuito che impatta il processo decisionale.

Passiamo ora ai rifiuti. Che ci sia una certa avversione verso il mondo dei rifiuti è un dato di fatto di cui ciascuno è quotidiano testimone: tale avversione trova allora naturalmente sbocco in una dinamica assimilabile a quella dei NIMBY, e cioè la volontà di affrancarsi da un tale argomento, relegandolo ai margini della nostra quotidianità. Ciò crea un bias “primitivo”, che ci porta ad essere naturalmente inclini a preferire qualsiasi decisione che allontani da noi il tema dei rifiuti. Perché un tale atteggiamento?

Sono almeno due le ragioni di un tale comportamento: la percezione del rifiuto come qualcosa di “inequivocabilmente schifoso” e la percezione del rifiuto, ed in particolar modo del suo trattamento e del suo smaltimento, come qualcosa di pericoloso.

Rispetto alla prima dimensione, rileviamo che ciò è un costume nella nostra civiltà, la quale non solo vede il rifiuto come uno scarto – e quindi come qualcosa di cui liberarsi immediatamente e non recuperabile – ma anche sottolinea il disagio che i rifiuti producono, in termini di olezzo e di gestione degli stessi anche in ambito domestico.

Per quello che riguarda il tema della pericolosità, si osserva senza dubbio una narrativa nazionale che spesso intreccia il tema dello smaltimento dei rifiuti con il mondo della criminalità organizzata e della minaccia della salute. Siamo così soliti, e ormai inconsciamente, associare al termine “rifiuto” anche il termine “minaccia”: “terra dei fuochi” e “roghi di rifiuti” sono espressioni che più ci colpiscono rispetto a “riciclo”, “riuso”, “valorizzazione”. Ciò può essere quindi letto come un confirmation bias, e cioè quel processo mentale tale per cui siamo portati a memorizzare e valorizzare solo le informazioni che corroborano le nostre ipotesi.

3. Servizi pubblici locali. Le strade comunicative verso la credibilità

Per poter aiutare i cittadini a effettuare scelte non-distorte, è necessario che le informazioni diffuse dalle istituzioni vengano accolte: cioè ascoltate, capite e recepite. Ciò necessita innanzitutto di credibilità. Le istituzioni devono potersi accreditare presso i cittadini come “meritevoli di fiducia”. Ciò aiuterebbe a disinnescare molte sindromi NIMBY, che generano immobilità, aiutando i cittadini a rileggere il contesto in una luce diversa, e rivalutando costi e benefici derivanti dall’azione o dall’inazione.

Senza dubbio un record di successi porta ad avere una “eredità reputazionale” considerevole, permettendo così alle Istituzioni di presentarsi presso i cittadini come soggetti capaci e quindi credibili. Il 26 luglio 2012, durante una conferenza a Londra, l’allora Mario Draghi pronunciò una frase che determinò, probabilmente, la salvezza del progetto “euro”: Within our mandate, the ECB is ready to do whatever it takes to preserve the euro. And believe me, it will be enough. Traspare infatti una granitica volontà nel sostenere il progetto “euro” (i.e. “whatever it takes”, a qualunque costo) ed anche la dichiarazione di poter dare concretezza a tali parole.

Un altro strumento nella disponibilità delle istituzioni è il porsi come soggetto attento alle esigenze dei territori, e cioè ascoltare i desiderata dei cittadini, ed in seguito applicarsi affinché tali desiderata diventino vere e proprie azioni.

Un tale approccio permette di costruire prossimità tra le istituzioni e i cittadini. Essi percepiscono le istituzioni vicine ai loro bisogni e attente alle loro necessità, sentendo così una rappresentanza vera nei contesti decisionali, e non la presenza di una classe politica che trascura il benessere dei propri territori. È tuttavia nella responsabilità delle istituzioni sapere anche indicare ai cittadini gli orizzonti a cui tendere per poter percorrere sentieri che mirano alla sostenibilità e alla salubrità.

È infatti anche grazie alla credibilità che le istituzioni possono suscitare cambiamenti di prospettiva nei cittadini. È necessario che le prime ascoltino i secondi, cogliendo esigenze e necessità. Ma è altrettanto necessario che i cittadini ascoltino i tecnici del settore e le Istituzioni, per avere una “fotografia” completa e oggettiva della realtà, prima di esprimere indicazioni e direzioni. Una tale prospettiva costruisce sostenibilità sociale, e cioè la possibilità di costruire relazioni stabili e durature nel tempo.

La buona comunicazione, in questo senso, ha un ruolo strategico. Un concetto espresso con chiarezza dal Presidente Sergio Mattarella quando, in un discorso del 2015, affermava:

Comunicare bene è un dovere delle istituzioni: migliorare le conoscenze e le professionalità in questo campo ha un valore strategico, perché una efficace comunicazione pubblica può ridurre i costi sociali, attivare la partecipazione dei cittadini, accorciare le distanze che creano disparità nella fruizione dei servizi

È più facile credere che ragionare. Per questa ragione è fondamentale che le istituzioni comunichino in modo efficace, supportando il processo decisionale.

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Autore: giusepperossi