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Adeguamento energetico: quanto costerà ai proprietari?

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Adeguamento energetico

L’agenzia di rating americana Standard and Poor’s ha stimato gli oneri per il settore immobiliare dell’applicazione della direttiva europea che prevede il miglioramento e l’adeguamento energetico degli edifici. Risultato: per i proprietari una media da 10 mila a 30 mila euro.

La bella addormentata attende il risveglio. Per legge. Perché la direttiva europea Case green, che impone a tutti gli Stati europei di rendere meno energivori gli edifici, a partire da quelli residenziali, al momento è dormiente, ma è stata approvata in via definitiva e dovrà (o dovrebbe) essere risvegliata.

Secondo quanto previsto dal provvedimento, ora sono i diversi governi che devono rendere operativa questa profonda trasformazione, che coinvolge migliaia di condomini.

E, in attesa che l’attenzione del governo torni su questo grande argomento, c’è anche chi, come la società di rating Standard and Poor’s, ha calcolato quali saranno (o sarebbero per chi non è coinvolto) i costi per attenersi alle norme previste dalla direttiva.

Che cosa prevede

Riassumiamo: per il recepimento vero e proprio della direttiva l’Italia può aspettare il 2026. Mancano circa sei mesi. La direttiva, che tecnicamente è la Energy Performance of Buildings Directive o, in sintesi, Epbd, ha concesso due anni ai Paesi membri per adeguarsi al testo.

Uno è passato. L’anno prossimo l’Italia (come gli altri membri dell’Ue) dovrà presentare il proprio piano di rinnovamento degli edifici residenziali a Bruxelles. E, sempre nel 2026, darà il via al calendario di scadenze legate agli impianti solari.

Va detto che il governo italiano è piuttosto riottoso a rispettare l’impegno assunto dal parlamento di Strasburgo, approvato anche con i voti dei deputati italiani, compresi quelli di una parte della maggioranza. Ma questo è un aspetto politico.

Dal punto di vista tecnico, la direttiva Epbd indica che dal 2030 tutti gli edifici di nuova costruzione dovranno essere a zero emissioni, in base ai parametri tecnici fissati. Contemporaneamente, entrerà negli attestati di prestazione energetica il Gwp (Global warming potential), una misura del totale delle emissioni che un edificio genera in tutto il suo ciclo di esistenza.

Sempre nel 2030 scatterà il primo target per il taglio di consumi medi degli edifici residenziali. E qui viene il bello: dovranno essere ridotti i consumi del 16% degli edifici, quelli più energivori. Per andare avanti fino al 2050, quando tutti gli edifici (sia quelli nuovi sia quelli esistenti) dovranno essere a emissioni zero e a basso consumo di energia. I condomini in classe G e F, insomma, entro il 2030 dovranno decidere opere come applicare un cappotto termico, cambiare caldaia, rifare il tetto: tutto quello che occorre per passare in una classe energetica meno sprecona.

L’analisi

Dato, però, che il governo ha detto chiaro e tondo che non se ne parla di ritornare al superbonus e che anche l’attuale sconto fiscale del 50% il prossimo anno sarà ridotto al 36%, per i proprietari di unità immobiliari si profila una bella stangata. Di quanto? Ovviamente il costo varia da un edificio all’altro.

Ma, come accennato, l’ultimo report di S&P Global Ratings, dedicato al settore immobiliare residenziale europeo, ha cercato di stimare gli oneri della decarbonizzazione immobiliare.

Per comprendere le reali esigenze e gli investimenti necessari, l’agenzia si è basata su un sondaggio a cui hanno partecipato 20 società immobiliari residenziali europee con rating e asset residenziali lordi per un valore superiore a 4 miliardi.

E questo spiega anche perché a occuparsene è S&P, una società che si occupa del merito di credito di aziende, gruppi e Stati (una loro revisione al ribasso è temuta da tutti i governi e fa aumentare il famoso spread).

Si tratta, insomma, di grandi società proprietarie di molti immobili, ai cui bilanci sono interessati banche e azionisti. E, proprio per questo, con strumenti a disposizione per calcolare l’impatto finanziario dei lavori.

 

Il prezzo da pagare

Risultato: secondo l’analisi di Standard and Poor’s, per un appartamento di 80-100 metri quadrati, le ristrutturazioni finalizzate a soddisfare i requisiti normativi, in termini di efficienza, potrebbero costare ai proprietari da 10 mila a 30 mila euro per unità residenziale.

Il report sottolinea l’ovvia considerazione che si tratta di medie variabili secondo le condizioni e l’ubicazione dell’immobile. Ma anche che per unità abitative particolarmente obsolete e inefficienti la cifra sale anche a 50 mila euro.

A questi costi potrebbero aggiungersi, su larga scala, l’adozione, in diversi Paesi europei, di tasse e prelievi nazionali sulle emissioni di carbonio, che andrebbero a pesare proprio sulle società immobiliari che amministrano altre società real estate, per l’aumento di costi operativi per il riscaldamento e l’elettricità.

Anche se il riflesso immediato, per questo aspetto, riguarda le grandi società, è atteso anche per i condomini. Per esempio, con un aumento dei costi di gestione e dei canoni per chi è in affitto.

 

Possibile rinvio?

Ma ci sono anche altri calcoli da considerare. Secondo alcune valutazioni della Commissione europea, gli edifici esistenti dovrebbero essere ristrutturati a un tasso del 2-5% annuo per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione a breve e lungo termine fissati.

Secondo un’altra stima, quella del centro studi di economia Bruegel di Bruxelles, per le ristrutturazioni degli edifici residenziali entro il 2030 la spesa aggiuntiva sarà complessivamente di 76 miliardi di euro all’anno.

Di questa somma sarebbero necessari circa 42 miliardi di euro per il 15% degli edifici peggiori. Certo, poi i proprietari di immobili beneficeranno di un risparmio consistente sulla bolletta di gas ed elettricità. Ma è inutile farsi illusioni: secondo S&P, potrebbero essere necessari dai 10 ai 25 anni per recuperare i soldi spesi per la ristrutturazione degli edifici.

Quindi i proprietari di immobili devono rassegnarsi a mettere mano al portafogli in nome della sostenibilità energetica? Anche se l’obiettivo di edifici meno energivori rimane indiscusso, non è detto che la direttiva Case green non faccia la fine di quella che riguarda il mercato automotive.

L’aumento di spese previste per la difesa, di fronte alle tensioni belliche, la guerra dei dazi e un incerto destino dell’economia europea, potrebbero spingere la Commissione a rivedere le scadenze, concedendo una proroga, proprio come si profila per la transizione delle automobili verso l’elettrico.

Non sarebbe sorprendente, insomma, anche perché è già previsto che nel 2028 i contenuti del testo della direttiva Casa green saranno sottoposti a revisione da parte della Commissione. Che nel frattempo è cambiata.

di Paolo Caliari

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